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IV Congresso Prov. DS Cagliari PDF Stampa E-mail
1 Aprile 2007

Care compagne e cari compagni,

torniamo qui per celebrare insieme il IV Congresso provinciale dei Democratici di Sinistra di Cagliari. Abbiamo alle spalle mesi di dibattiti, confronti, discussioni serrate. Tantissime e partecipate assemblee nelle nostre sezioni, e numerose iniziative nei luoghi pubblici. Una partecipazione di quasi 2500 persone fra iscritte e iscritti ai Democratici di Sinistra, con una presenza al voto molto alta. Una mobilitazione forte e un grande sforzo organizzativo, che rendono evidenti le dimensioni di un partito strutturato e radicato nel territorio.

Abbiamo detto, e condiviso, prima dei congressi delle unità di base che per contrastare il crescente sentimento antipartitico che è sotto i nostri occhi, avremmo dovuto iniziare a rompere quella tradizione verticistica del sistema politico causa non ultima della sua tendenza a separarsi dalla società. Della frattura profonda tra classe dirigente ed elettorato. Abbiamo anche sostenuto che il nostro Congresso avrebbe dovuto cominciare a rispecchiare questa innovazione facendo prevalere, sulla dimensione verticale delle correnti organizzate, la dimensione orizzontale della ricchezza di idee e di esperienze che provengono dalle realtà territoriali, sollecitandole a contribuire in modo autonomo ad un confronto più libero e aperto, senza barriere o steccati precostituiti. Non sempre compagni siamo riusciti a rispecchiare questa innovazione. Tuttavia, credo che l'aver preso coscienza diffusamente di questa necessità sia un primo importante risultato.

Care compagne, cari compagni, il dibattito congressuale ci consegna un partito rafforzato, arricchito dai numerosi interventi e contributi. Il congresso è stato per molti di noi una grande occasione per discutere di temi importanti.

Il voto degli iscritti ha dato un consenso importante all'obiettivo di fondo, alle parole d'ordine del nostro Congresso. La necessità di una riforma intellettuale e morale del nostro Paese. Il senso di una crisi della politica e della democrazia. Il bisogno di pensare un mondo diverso, più giusto e più umano, e di lottare per nuove idee. Una unità di giudizio alimentata da una grande fiducia e da un grande orgoglio di appartenenza. È chiaro, i caratteri distintivi delle tre mozioni politiche in discussione hanno marcato le differenze ed evidenziato le conflittualità. Tuttavia, sono convinto, compagni, che il nostro impegno dovrà essere volto a mantenere unito il partito, in questa fase nuova.

Il congresso ci consegna infatti il mandato ad avviare il processo costituente del Partito democratico. Non ignoriamo, naturalmente, i dubbi, gli interrogativi, le inquietudini e le contrarietà, che muovono da sentimenti sinceri. E che il dibattito congressuale ha consentito di manifestare, apertamente e liberamente. In questo percorso nuovo porteremo, allora, la nostra proposta politica, il nostro patrimonio ideale, di donne e uomini, di passioni e intelligenze. E su questa strada avremo modo di discutere e costruire un confronto aperto e produttivo, mai scontato. Con l'orgoglio della nostra storia e la volontà di dare alla sinistra, ai suoi valori, alle sue idee, il più grande slancio, e di farle assolvere – come in ogni passaggio cruciale della nostra storia – una funzione dirigente nazionale. Siamo di fronte ad un passaggio storico.

Abbiamo bisogno di unità. Abbiamo bisogno di futuro. Di un futuro aperto, praticabile, sostenibile. In questa occasione vorrei riflettere con voi di futuro perché è lì che troviamo proiettate le nostre possibilità. Quindi, i nostri progetti, le nostre idee di società, di economia, di ambiente, di cultura. Il futuro, compagni, deve ritornare a governare l'immaginazione politica. Perché, a partire dalle scelte lo si determina. Il tema è il nesso tra politica e futuro, tra azioni possibili e determinismo imposto da eventi più grandi di noi a cui noi possiamo tutt'al più assistere. Insomma: dinanzi al Moloch del capitale transnazionale, alle trasformazioni epocali del nostro tempo, come può la politica – la sfera delle decisioni collettive – trovare lo spazio per proiettare nel futuro un progetto di società?

Questo nostro congresso, cari compagni, si celebra al termine di un difficile percorso e spero di restituire chiarezza e verità alle questioni che stanno a cuore ai nostri militanti. Un passaggio anche doloroso e non privo di asprezze e che tuttavia deve essere vissuto come una opportunità di rilancio della progettualità politica e istituzionale. Vogliamo rilanciare, qui e ora, una politica che ritorni alla discussione e al confronto.

Cogliamo allora questa occasione per tornare a riflettere con i cittadini delle nostre città; cogliamo l'occasione per riaprire il futuro della provincia di Cagliari attraverso la condivisione collettiva di metodi, obiettivi e strategie, per proporre una inedita forma di politica vivificata dalla diversità di prospettive e di opinioni, che possa contemplare anche la reversibilità delle decisioni. Questa, compagni, è la democrazia.

Anche una Provincia come quella di Cagliari che nelle sue dimensioni, ha sviluppato una sua complessità, un suo reticolato difficile da semplificare. Non possiamo sottrarci alle responsabilità delle scelte. Dobbiamo scegliere consapevoli che è compito della politica aumentare le relazioni tra i diversi attori del sistema e non ridurle. La politica deve aumentare le possibilità di dialogo e di scambio, di incontro e di cooperazione tra i diversi soggetti. Abbiamo bisogno di intelligenze, di talenti, di prospettive che scuotano le nostre convinzioni. Noi pensiamo ai giovani, alle persone per le quali la politica è passione collettiva, idealità; pensiamo agli imprenditori desiderosi di avviare percorsi di innovazione e di relazione con il tessuto sociale, pensiamo al mondo delle libere professioni, ai lavoratori, ai commercianti. Pensiamo a tutti quelli che credono alle relazioni come un valore aggiunto che va alimentato rinunciando talora all'esercizio di una piccola porzione di interesse contingente sapendo che in futuro potrà arrivare un dividendo superiore.

Dobbiamo ritornare ad animare la politica del nostro partito attraverso lo strumento della concertazione anche nelle fasi di predisposizione delle scelte. Sto pensando a tavoli di confronto e di progettazione che, superando lo schema bilaterale, contribuiscano a restituire fiducia nelle relazioni e a stimolare forme di interrelazione virtuose. Dobbiamo costruire le reti consentendo ai diversi nodi di poter agire in uno spazio governato da regole chiare e trasparenti.

Dobbiamo rafforzare più compiutamente i punti di contatto e di discussione con i sindacati dei lavoratori, vi è una crisi di sistema che non può vederci semplicemente solidarizzare per singole battaglie, anche se giuste e da combattere. E’ necessario che il nostro partito sia più presente nel mondo del lavoro.

Il futuro allora torna "praticamente" come spazio dei possibili, si riappropria di questo spazio tornando così a riflettere sulla sua specificità e sulle ricchezze del nostra provincia, una città dei servizi e della cultura, che sappia essere una città che si confronta virtuosamente con le altre municipalità, un territorio montano che deve trarre vantaggio dalle nostre coste che hanno una grande vocazione turistica, un’area industriale da rafforzare, costruendo anche una nuova identità produttiva in quei luoghi dove negli anni settanta si affermò il polo industriale e petrolchimico. Deve essere attivato un coinvolgimento ampio che tenga conto anche della realtà complessa, ricca e problematica della provincia in cui operiamo.

La città di Cagliari, dentro un contesto regionale che presenta elementi di dinamismo e di difficoltà, tende a polarizzare attenzioni e investimenti, presenta ad un tempo punti di eccellenza, povertà e degrado. Nel mentre nuovi protagonismi municipali, nuove polarità si manifestano, a partire da quella di Quartu, realtà forte in una vasta area urbana che tarda ad assumere una identità sovra comunale e a utilizzare pienamente l’energia di cui è capace. Quest’area non ha trovato finora un livello efficace di governo per il concorso di due pressioni: quella del municipalismo esasperato e quella della tentazione centralista del potere regionale. La provincia svolge un importante ruolo di stimolo e di governo, ma il suo ruolo va ampliato nel senso di riconoscere a questa istituzione autonomia e poteri anche a titolo di delega dal livello regionale, e con la convergenza dei livelli comunali. La possibilità di crescita dell’area vasta deve trovare nella rete di una governance estesa l’energia per la sua promozione. Altrimenti se ne soffocano le potenzialità. Questa federazione si estende su un territorio che si differenzia al suo interno per diverse caratteristiche. Comprende una densa conurbazione, ma anche zone di montagna con caratteristiche di economia debole a forte componente agro –pastorale e vaste aree interessate ad uno sviluppo turistico elevato e con ulteriori prospettive. Un territorio da tenere unito in una prospettiva di sviluppo differenziato ma sostenuto. In sintesi il nostro partito deve dare il suo contributo per rilanciare l’idea che la provincia di Cagliari sia un sistema comunicante e non un reticolo di recinti sterili.

All'interno di questo schema dobbiamo costruire la nostra presenza: dentro le politiche regionali di sviluppo e nella programmazione della nostra regione. La questione è banalmente dimensionale. Come è pensabile attuare una programmazione strategica se non all'interno di una regione che, con i suoi un milione e mezzo di abitanti è una realtà piccola e diversamente intrecciata, dove la nostra area deve recitare un ruolo di protagonismo non antagonista con le altre aree della Sardegna.

Il dato dimensionale non va sottovalutato tanto che oggi è la dimensione regionale quella su cui si ragiona per implementare tutte le politiche di sviluppo.

La cornice della programmazione è quella indicata dalle azioni strategiche per lo sviluppo della Sardegna. 1. Potenziamento dei fattori di sviluppo e di competitività 2. Tutela e valorizzazione della risorsa identitaria 3. Welfare 4. Sviluppo del sistema integrato dell'istruzione, formazione e politiche del lavoro 5. Riforma del sistema istituzionale e della Pubblica amministrazione

Bisogna diventare consapevoli che nella ri-programmazione delle risorse comunitarie 2007-2013 avremo un combinato disposto esemplificato dalla maggiore selettività nell'assegnazione delle risorse e dalla richiesta di una progettazione di qualità e legata alle tematiche dell'innovazione.

Vorrei tentare, in questa sede, un ragionamento se volete anche irrituale, ma che dovrebbe portare alcuni elementi di dibattito circa la natura e le ragioni che orientano il nostro sviluppo. Comincerò con l'affermazione di una tesi generale riferita a quel tipo di società che spesso viene definita "postmaterialista". Un termine che intende affermare l'egemonia del lavoro "immateriale" su tutti gli altri. Nel quadro globale il lavoro immateriale non è predominante in termini quantitativi ma qualitativi. Cosa è accaduto? Che il lavoro immateriale ha imposto una tendenza alle altre forme di lavoro e alla società nel suo complesso. Oggi il valore della merce viene espresso tramite quel contenuto di conoscenza immateriale che viene incorporato nei prodotti. Spesso nelle nostre analisi ci manca la chiarezza circa questo passaggio. Sarebbe bene comprendere che, per quel che ci riguarda, gran parte delle nostre opportunità di sviluppo si giocano nell'intreccio tra elementi materiali inalienabili e non riproducibili quali il territorio e un contenuto immateriale di conoscenza che metta a valore il primo termine e che può essere formalizzato e quindi trasmesso.

Dall'incontro tra elementi inalienabili e non riproducibili (il territorio) e elementi immateriali (la conoscenza) può configurarsi per la nostra Provincia una durevole e sostenibile ipotesi di sviluppo.

Comprendere l'elemento immateriale che dà valore alle nostre identità è un elemento decisivo. Se non facciamo questa riflessione, rischiamo di non tenere assieme i circuiti della formazione e della produzione, della promozione e dell'identità.

A mio giudizio questo tema dell'immateriale che agisce e che "pesa" molto di più delle presse idrauliche e dei trattori, è troppo spesso il grande assente nella discussione sullo sviluppo. Sono convinto infatti che una riflessione aperta su questo tema avrebbe evitato molti giri a vuoto e avrebbe richiamato alle responsabilità anche chi è chiamato, per vocazione, all'intrapresa. Insomma: l'economia della conoscenza non è affare solo delle nuove tecnologie siano esse informatiche, elettroniche, biotecnologiche. L’economia della conoscenza, che dell’immateriale è l’espressione concreta, cambia il modo di essere e di produrre dell’impresa e dà luogo a nuove tipologie di lavoro. Sono,questi, temi che nella realtà della provincia hanno ormai carattere di concretezza.

Potrebbe darsi che queste riflessioni inducano a qualche sconcerto. Eppure, compagni, questo "immateriale" dà ragione a quel fenomeno per il quale una casa in ladiri rappresenta la storia dei nostri antenati.

Se la politica vuole avere ancora un ruolo nelle strategie di sviluppo non può occultare la dimensione dell'immateriale. Questo, naturalmente, non significa relegare le urgentissime questioni delle infrastrutture e delle produzioni materiali a un livello secondario. Tuttavia, non possiamo pensare di risolvere le questioni di fondo del nostro progetto di futuro senza ricercare la sostanza che dà forma e ragione alle cose.

In questo caso l'uso del contenuto immateriale consente la creazione di un bene comune che non soltanto non si consuma nell'uso, ma si arricchisce ogni volta che lo si consuma.

La conoscenza rimette al centro della produzione di ricchezza la risorsa umana, il cervello delle persone, i talenti, le vocazioni. Lo fa compiendo una rivoluzione ugualitaria perché il sapere è la grande livella che restituisce un ruolo centrale alle capacità individuali.

Allora, compagni, ritorna il tema della cultura e di come la cultura diventa il detonatore di uno sviluppo che distribuisca opportunità e benessere a tutti. L'immateriale rimette al centro, l'intelligenza umana. Sapremo crescere se sapremo valorizzare le nostre intelligenze, quelle dei giovani e dei nostri figli; torneremo a crescere se sapremo accogliere altre intelligenze. Abbiamo bisogno di una politica nuova e di un partito aperto.

Tutto questo per dire che il compito della politica non è soltanto quello di decidere ma di organizzare e promuovere le reti per generare benessere e ricchezza, giustizia sociale e pari opportunità. Se vogliamo affermare una qualche forma di egemonia sui processi economici e sociali lo possiamo fare a partire da una forma originale di "soft power", che è poi la capacità di condizionare le vicende con fonti di potere intangibili quali cultura, idee, reti.

Noi vogliamo confrontarci con le nostre città su progetti e su priorità in maniera responsabile, consapevoli di essere forza di governo e consapevoli che il mondo delle imprese deve essere parte integrante di un più vasto progetto. Le politiche di rigore nei trasferimenti statali e la riduzione degli aiuti comunitari, la riforma del titolo V della Costituzione e il quadro economico in cui ci muoviamo non lasciano presagire tempi facili. La politica non può essere più chiamata a sostituirsi al dinamismo imprenditoriale. La cosa non funziona ed evidenzia costi insostenibili per l'intero sistema che, se nel breve periodo può trarne un qualche giovamento, sul medio paga costi terribili.

Vogliamo stare, senza infingimenti, all'interno delle politiche di sviluppo regionale e provinciale. Però, diciamo alle altre forze politiche, alle organizzazioni di categoria, alle forze sociali, al mondo delle professioni e agli imprenditori, che siamo ben consapevoli di osservare le cose dal nostro punto di vista e quindi sollecitiamo l'apertura di un confronto sulle cose. Pensiamo allora ad una nuova stagione di progetto tale da restituire alla politica quel senso alto che inseguiamo e che vorremmo diventasse quotidianamente senso comune.

Questo congresso ci ha indotto ad una scelta, ad un passaggio necessario. Ci appressiamo ad un decisivo appuntamento con la storia, ad un punto di svolta nella vicenda nazionale. Lo facciamo noi, con il coraggio dell'innovazione politica. Lo facciamo per costruire un soggetto politico che possa svolgere una funzione nazionale, e che abbia una missione storica.

Lo facciamo, cari compagni, perché non vogliamo musealizzare i valori della Sinistra, magari in una teca "sotto vuoto" per preservarne una qualche intonsa genuinità. La sinistra ha nel suo DNA la strada del confronto con la modernità.

Stiamo fondando una "Nuova Italia" su quei valori di democrazia e di civiltà che hanno orientato il corso della storia italiana recente. Che chiude una lunga transizione, che dalla Resistenza passa per la Costituente, le grandi battaglie civili delle donne e dei lavoratori, la lotta al terrorismo e alla mafia e che finisce con le vicende dell'ultimo decennio.

Siamo divenuti consapevoli che per rispondere alle sfide della modernizzazione la nostra prospettiva risulta manchevole e oggi non c'è più ragione di tenere diviso ciò che nella nostra gente è sentito unito, e nell'Ulivo ha agito unito.

In ogni caso, credo che anche nel Partito Democratico sarà presente una forte cultura di sinistra. E non vi nascondo, compagni, di guardare verso quella direzione senza per questo rinnegare la mia convinta, piena e forte adesione a tale progetto. Nel fare la mia scelta non ho affatto sacrificato idee, analisi e convinzioni né tanto meno mi è stato chiesto di farlo. È un buon segno di libertà.

In maniera analoga, credo che in questo processo costituente ci possa essere spazio per le differenze e per le diverse identità. Il meticciato che qualcuno teme di vedere realizzato alla fine, è da intendere quale straordinaria opportunità per rimettere in movimento culture idee e progetti. Mettendoci in gioco, assumiamo consapevolmente la responsabilità di trovare una nuova e rigorosa collocazione per quei valori del socialismo, del riformismo e dell’autonomismo che qualcuno voleva abbandonare sotto le macerie del Novecento.

Per fare questo, per raggiungere tale obiettivo, c'è bisogno di tutto il partito, di tutti quei compagni per i quali le ragioni dell'unità restano prevalenti.

Dobbiamo imparare a far coesistere le differenze, e le diverse identità perché non è più possibile pensare di cogliere la complessità del mondo a partire da una sola prospettiva, da una sola tradizione. La politica non offre percorsi di redenzione collettiva. Le esperienze del Novecento ce lo hanno mostrato sin troppo bene. Questo è il tempo delle scelte libere e individuali: non possiamo chiedere a nessun altro di scegliere per noi.

Qui ritorniamo alla riaffermazione del ruolo della politica. Cambiare e fare sistema diviene requisito primario, concreto e non retorico, per superare i limiti del quadro e avviare una nuova ed efficace fase di sviluppo che sia in grado di valorizzare le notevoli potenzialità di cui siamo portatori, collegandole alle opportunità che esistono e che continuamente si presentano . Promuovere la costituzione di una rete di interessi positivi e di forte responsabilità sociale è un compito di una forza riformista che miri a quel risultato. Non si può però rivolgere una proposta di rinnovamento di contenuti e di classe dirigente alla società senza preventivamente essere legittimati da scelte nella vita di partito coerenti con quelle impostazioni. Fin dal passato congresso il nostro Partito ha avviato un significativo ricambio della dirigenza. Ciò si è verificato negli organi dirigenti delle federazioni e del livello regionale. Nelle elezioni e nella costituzione degli organi di governo di provincie e comuni si sono compiuti passi significativi nella scelta caratterizzata da forte ricambio, anche generazionale. Assume valore qualificante l’assunzione di un criterio di selezione dei gruppi dirigenti ispirato a realizzare la pari opportunità di genere. Un momento di contraddizione si è dovuto però registrare nella formazione delle rappresentanze alle elezioni politiche, influenzate dalla legge elettorale iniqua che conosciamo, assecondata dalle scelte dei territori.

Una precisa volontà deve condurre con coerenza il processo di ricambio , nel congresso e nelle scelte successive che competono agli organi dirigenti. Mi avvio verso la conclusione dicendovi, con umiltà, il partito che ho in mente. Un partito che sappia far propria la richiesta di partecipazione democratica che spinge dagli iscritti, dai simpatizzanti e dalla società civile. Un partito cha a partire dall’organismo di direzione politica sappia raccogliere le esperienze di tutti i territori della nostra provincia.

Un partito nel quale le iscritte e gli iscritti che si organizzano e operano nel territorio si sentano davvero protagonisti; Un partito che si metta in ascolto della società e che sfugga al complesso dell'autosufficienza per mezzo di un confronto sempre aperto.

Un partito autorevole che recuperi il piacere della politica intesa come progetto condiviso, come sfida, costruzione collettiva e solidale.

Un partito radicato e coerente con la propria storia, nel suo essere stato presidio di dignità e di umanità, di diritti e di innovazione sociale, eppure capace di proiettarsi nel futuro affrontando le nuove sfide. Un partito dove ci si confronti francamente ma con rispetto e continua ricerca del dialogo, cercando di superare le divisioni che permangono nell’organizzazione del nostro intendere la politica, meno riunioni di componente e molte di più degli organismi. Un partito plurale nel quale deve trovare spazio anche il punto di vista di una sinistra critica, quella rappresentata dalle compagne e dai compagni della mozione Mussi, sarà compito di tutta la maggioranza del partito e non solo del candidato segretario spendere tutte le energie disponibili affinché la mozione Mussi partecipi con le proprie opinioni alle scelte del partito.

Un partito aperto alle sollecitazioni di chi avendo un atteggiamento critico ma non contrario al progetto del partito democratico, come le compagne ed i compagni della mozione Angius, che mettono in evidenza la necessità di una chiara collocazione nel campo del socialismo europeo, che consideriamo il nostro bagaglio culturale più importante. Un partito più solidale, più unito, capace di essere nei momenti determinanti un unico blocco, e qui penso sia alle compagne ed ai compagni che hanno scelto la Mozione Mussi quanto quella Angius, spero che una volta terminato il congresso nazionale si possa da subito riprendere a lavorare insieme per fare più grande e più aperto alla società il nostro partito, verificando in maniera naturale l’andamento della fase costituente del partito democratico. Non dipende solo da me o dalla mozione che mi candida alla segreteria federale, ma vi assicuro che non perderò nessuna opportunità per creare le condizioni necessarie per dialogare e collaborare con tutti nella gestione del partito. Un partito dove ognuno di noi possa entrare e con piacere ritrovare il gusto di far politica insieme agli altri, questo ci è stato insegnato, vorrei tanto che il nostro partito sappia farci respirare un’aria nuova, dove tutti siano inclusi in un grande progetto di cambiamento non solo del nostro partito ma di come intendiamo fare politica. Cari compagni e care compagne, mi piacerebbe che il nostro congresso, si chiudesse con un impegno che vincola noi tutti, a prescindere dalle mozioni che rappresentiamo: tutte le decisioni del partito siano frutto del coinvolgimento e dei deliberati degli organismi, perché il rinnovamento della politica passa anche per il recupero del ruolo degli organismi dirigenti che sono il vero motore del nostro partito e dove ci si deve sentire protagonisti responsabili delle scelte dei Democratici di Sinistra della Provincia di Cagliari. Grazie
 
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