Ormai è evidente a tutti che il progetto del Pd è fallito e in Sardegna ciò appare anche in maniera più chiara e, forse, più drammatica. Il fallimento si misura nei risultati ottenuti nelle varie competizioni, da non confondere con i successi delle coalizioni di centrosinistra, perché quasi mai il PD supera il 25%. Inoltre si misura nel deficit di rinnovamento dei metodi e del personale politico, nella mancanza di condivisione progettuale tra i gruppi dirigenti ex DS ed ex Margherita. Nonostante tutto però il PD, anche quello sardo, resta il più importante strumento di partecipazione politica alternativo al centrodestra. Nell’ottobre del 2007, quando si è fondato il PD, sciogliendo i vecchi partiti, erano ben altre le ambizioni e le speranze. Chi come me ha voluto con passione questo Partito non può e non deve accettare di accontentarsi di vivacchiare ma deve avere l’ambizione di realizzare e migliorare il progetto originario. Se fosse necessario, non esiterei a creare anche qualcosa di nuovo pur raggiungere gli obiettivi iniziali di quel progetto. Il rischio, che può trasformarsi in un disastro per l’intero centrosinistra, è di vedere finire l’era berlusconiana e di assistere a uno spostamento a destra della politica italiana e sarda. Le persone generose e intelligenti che stanno nel Pd devono rimboccarsi “bersanianamente” le maniche e lavorare per costruire qualcosa di più forte dell’attuale partito che, in quattro anni di vita, è riuscito ad allontanare sia i tanti militanti dei vecchi partiti quanto a non includere i tanti cittadini senza partito che nel 2007 si erano messi in fila per votare il primo segretario e per sottoscrivere il manifesto politico. Ciò non deve essere visto come un tentativo di delegittimare chi cerca di guidare il partito, non è una questione di potere, più semplicemente vorrei vedere nuovo entusiasmo in un campo politico che dovrebbe preparasi a governare la Sardegna e l’Italia e che invece rischia di fare la fine della gloriosa macchina da guerra del 1994. Non è questione di leaders e gruppi dirigenti. Non serve dire che i sondaggi attuali sono favorevoli al centrosinistra e che questo dovrebbe bastarci. Il ragionamento non funziona anche perchè i sondaggi spesso nascondono trappole pericolose. Anche dopo l’arrivo di Bersani, che aveva il compito di costruire un partito più solido di quello veltroniano, si assiste ad una situazione che vede il livello nazionale bloccato dalle varie correnti e sottocorrenti. Tutto ciò imprigiona e paralizza le iniziative politiche e soffoca la nascita di una chiara identità culturale del nuovo partito, dando la sensazione all’opinione pubblica che nel pd nessuno conti e nessuno riesca a mettere insieme le tante diverse sensibilità. A livello locale, gli ultimi accadimenti mostrano la debolezza e la mancanza di autorevolezza del partito, la sostanza delle cose è sempre la stessa, litighiamo tra di noi, gestiamo senza avere un progetto chiaro che apra le nostri sedi ai cittadini. Dovevamo avere un partito più attrezzato e ad ottobre tanti di noi non hanno ancora fatto la tessera e chi volesse farla troverebbe chiusa la serranda del circolo territorialmente più vicino. Siamo avvitati su noi stessi, mentre il mondo cambia e la crisi economica e sociale diventa sempre più grave e il disagio sempre più ingestibile. Il successo della raccolta referendaria per l’abrogazione della legge elettorale ha dimostrato l’incapacità del partito a sintonizzarsi con il proprio elettorato. E' vero che il pd sardo a quindici giorni dalla presentazione delle firme ha deciso di sostenere la raccolta, ma tanti amministratori ed iscritti del pd erano comunque già impegnati. Una visione politica democratica e di Sinistra non deve accontentarsi di avere uno strumento per “gestire”, ma deve anche avere lo slancio ideale di poter cambiare e possibilmente migliorare la società con il dialogo e con le scelte condivise. Per questo occorre superare l’attuale PD e prendere atto che i suoi vizi originari hanno avuto il sopravvento. A livello nazionale abbiamo avuto tre segretari, mentre in Sardegna ci sono stati tre segretari ed un commissario. La situazione oggi non è cambiata. Se vogliamo salvare l’esperienza del riformismo democratico dobbiamo cambiare seriamente e non sperare in una conta congressuale, tutta nominalistica, dove posizionarci in vista delle politiche e delle regionali. Incominciamo a parlare di valori e di identità, non per mantenere inutili steccati ma per aprirci agli altri, costruiamo un percorso nuovo che sappia appassionare e coinvolgere , mettiamo anche con un poco di generosità che non guasta mai, tutte le esperienze a sostegno di qualcosa di nuovo che sappia ricostruire tutto ciò che è stato distrutto dal berlusconismo. Se costruiremo qualcosa di nuovo potremo salvare i principi originari e autentici del Partito Democratico altrimenti rischiamo di essere una parte, e non la più importante, di un sistema sempre più in crisi agli occhi dei cittadini che rischia di travolgere anche quanto di buono siamo riusciti nonostante tutto a realizzare. Efisio Demuru
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