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Il lavoro che non c’è e la disperazione di sentirsi soli. PDF Stampa E-mail

In queste ultime settimane si ripetono, troppo spesso, atti che sarebbe superficiale definire e archiviare come il solo frutto della follia.

Persone semplici, con le loro vite normali, con mutui da pagare, figli da mandare a scuola, vacanze estive che saltano perché non si hanno semplicemente i soldi, discussioni in famiglia, matrimoni che vanno a pezzi, l’angoscia di sentirsi soli e senza futuro, infine la decisione brutale di uccidersi e a volte di uccidere chi si ritiene responsabile.

In questi mesi ci siamo tristemente abituati alla disperazione dei lavoratori che si incatenano, si barricano o stanno sul tetto della loro fabbrica, disperatamente gridano, urlano la loro rabbia e la voglia di impedire la chiusura del loro posto di lavoro, di fronte ad una Politica spesso assente ed incapace di trovare soluzioni con imprenditori che scappano davanti alle loro responsabilità o che semplicemente vengono anche loro travolti dalla Crisi.

In passato chiudevano le fabbriche, come oggi, ma raramente si vedeva questa desolante disperazione, perché?

La precarietà attuale e l’impossibilità di trovare alternative occupazionali ha eliminato la certezza che con un lavoro si possa stare sereni.

Il lavoro cambia, non è più lo stesso, forse questo non è un male, ma genera una costante insicurezza, che al giovane precario non permette di realizzarsi come persona nella società, e rigetta nella marginalità donne e uomini che hanno superato la soglia dei cinquant’anni perché fuori mercato.

La disoccupazione giovanile tocca oramai livelli record, un titolo di studio a volte non è sufficiente, una grande professionalità o esperienza diventano inutili nella ricerca di un lavoro.

La politica, i sindacati le istituzioni sembrano essere inermi, travolti anche loro dalla debolezza della società; chi perde il lavoro o non l’ha mai avuto si trova schiacciato dalla solitudine, circondato da mass media che veicolano messaggi estranei alla realtà: fatti di successo, di bella vita, di lusso e di spensieratezza.

Il lavoro non è più un valore, contano altre cose in quel mondo parallelo creato dalla tv, chi perde il proprio reddito si sente umiliato, come se fosse una sua colpa, che diventa più grave anche perché altri invece continuano a godere di un benessere irraggiungibile per molti.

Che fare?

Il lavoro deve ritornare ad essere un valore rispettato e i lavoratori non devono sentirsi soli.

Sembra semplice fare tutto ciò, ma non è così semplice: serve un’Imprenditoria capace, creativa e rigorosa. servono dei Sindacati forti e rappresentativi e soprattutto serve una Politica seria ed autorevole, ascoltata e rispettata.


Efisio Demuru


 
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Efisio Demuru

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